Jeanne Dielman

Chantal Akerman, Jeanne Dielman, 23 rue du commerce, 1080 Bruxelles, 1975

Camera da letto anni ’70. Carta da parati, soprammobili, quadri antichi, lampadario vecchio stile. Una stufa elettrica riscalda l’ambiente. Il figlio è a letto, sdraiato sul fianco. Legge senza alzare gli occhi dal libro, illuminato da una piccola abat-jour. Entra Jeanne, fa il giro del letto, spegne la stufa, poi si siede sul letto e dà due baci della buonanotte al figlio (che nel frattempo ha cambiato posizione e ora è disteso a pancia sopra). Jeanne sta per uscire dalla stanza, ma proprio sull’uscio, rompe il silenzio che va avanti da diversi minuti:

Jeanne: Leggi in continuazione, esattamente come tuo padre
Figlio: sì lo so, me l’hai già detto

(Pausa. Jeanne si guarda attorno, ha nominato il “padre”, e ora aspetta che il figlio finalmente dica qualcosa).

Figlio: quando hai incontrato mio padre?
Jeanne: perché me lo domandi proprio adesso?
Figlio: ho appena letto la parola miracolo e ho pensato alla zia che parlava sempre di quando ha incontrato Jacques Palmirac
Jeanne: sì…ho incontrato tuo padre quando gli americani erano già partiti…all’epoca vivevo con le zie…Un giorno ero con un’amica, era un sabato, e l’ho visto…Poi ci siamo rivisti, lavoravo di fronte a lui, ma ero mal pagata, e dalle zie non stavo bene, ero molto triste… Non so se avevo voglia di sposarmi… ma ad ogni modo bisognava farlo, tutti lo facevano, era nell’ordine delle cose, come si dice… e poi le zie dicevano è un bravo ragazzo, è benestante, ti renderà felice ma io esitavo…Avevo veramente voglia di andarmene da casa delle zie, di avere un figlio e poi non so di preciso cosa è successo… da un giorno all’altro lui è caduto in disgrazia e allora l’ho sposato…sai, succedeva dopo la guerra… ma le zie non erano più d’accordo, dicevano che una bella ragazza come me poteva avere di meglio, che se avessi aspettato un po’ avrei trovato un uomo migliore… E poi dicevano che tuo padre era brutto, che era così, che era colà…
Figlio: e se era brutto tu avevi voglia di fare l’amore con lui?
Jeanne: Brutto o non brutto non era importante per me…E fare l’amore, come dici tu, era un dettaglio…Ma alla fine non era così brutto…
Figlio: e avresti voglia di risposarti?
Jeanne: abituarmi a qualcun altro…no..
Figlio: qualcuno che ami veramente

(Jeanne sospira)

Figlio: ad ogni modo se io fossi una donna non saprei fare l’amore con qualcuno che non amo del tutto
Jeanne: ma tu non lo puoi sapere, tu non sei una donna. Spengo la luce.
Figlio: se vuoi
Jeanne: dormi bene
Figlio: sì

Jeanne spegne la luce, esce dalla stanza, restiamo sul figlio che si volta su un fianco, ignaro di tutto. Al buio.

Scianna, Sciascia, Borges, Huppert, Béart

Sottotitolo: quel che fu, fu.

“Dodici euro compresa l’audioguida raccontata da Ferdinando Scianna stesso”, mi dice l’impiegata della Gam di Palermo. 

E basta quel “raccontata” affinché io, che di solito non prendo mai le audioguide perché voglio sempre fare quello che fa per sé, mi ritrovi con un aggeggio appoggiato all’orecchio, filo diretto con Ferdinando Scianna. Per comprendere subito, esperienza inedita, che non si tratta di una normale spiegazione delle opere esposte ma di un racconto, appunto, che mi seduce con voce sicura, seguendo i fili tematici della mostra per poi abbandonarsi alla rievocazione della pratica del proprio mestiere: molti viaggi, molti ritratti, molto vissuto. E il bello, il giusto, è che sembra lo stia raccontando proprio a me, adesso. 

Con il quaderno in mano, un po’ storto, inizio a segnarmi alcune cose (“Quando mio padre seppe che volevo fare il fotografo disse: Ma che lavoro è? Uno che ammazza i vivi e resuscita i morti“) ma poi capisco che non c’è modo di fermare il flusso, e mi ritrovo a passeggiare tra le sale e le fotografie, cullato da “Scianna stesso”. Molto bello. E quando più tardi chiederò all’impiegata se esista una versione scritta di questa audioguida (“o anche un mp3, un podcast, una cosa”), e lei mi risponderà “No, mi spiace, le cose che racconta sono sparse nei suoi libri”, sorriderò e penserò Meglio così. Quel che fu, fu. 

Leonardo Sciascia

“Vidi le due bambine davanti all’urna con il Cristo morto. C’era una foto. Mi avvicinai. Ma con la coda dell’occhio vidi Leonardo che arrivava. Seppi in pochi attimi che si sarebbe inserito nella scena. Nel momento esatto in cui il suo corpo componeva una struttura a piramide con le due bambine e armonicamente entrava in relazione con tutti gli elementi formali della scena, si girò a guardarmi. Scattai”.

José Luis Borges
José Luis Borges

“Incontro Borges sulla terrazza del suo albergo davanti a un nitido mare. La giornata è radiosa. Lui sembrava bere quella particolare fragranza dell’aria, diceva di sentire che il cielo doveva essere azzurrissimo. Si volse verso il sole, la cui luce ignorava, ma di cui sentiva il calore, e cominciò a declamare: Dolce color d’oriental zaffiro… Dante, Purgatorio, canto primo, precisò con un sorriso timido”.

“Il tema era l’amicizia. Entrambe si erano scelte per farsi fotografare insieme. E il tema dell’amicizia, della reciproca stima lo hanno entrambe recitato a fondo durante il tempo della ripresa. Quando dico recitato, non intendo affatto che non fossero sincere. Tutt’altro. Però, in quanto attrici, se non in quanto amiche, ciascuna, naturalmente, cercava di recitare la sincerità del loro rapporto meglio dell’altra. Bella competizione, ne ho beneficiato”.