The boys in the band

The boys in the band è un film del 1970 diretto da William Friedkin (L’esorcista, Cruising). La sceneggiatura è basata sulla pièce teatrale di Mart Crowley del 1968. Prima di Stonewall, prima di tutto. Agli attori, bravi e coraggiosi, dobbiamo parecchio. Molti di loro morirono di Aids nell’indifferenza generale. Questo fu il loro unico ruolo di successo, se di successo possiamo parlare.

C’è una storia legata a questo film che ogni volta che la leggo mi riduce a brandellini: il personaggio di Emory era interpretato da Cliff Gorman, che nella vita era etero. Gorman rimase molto amico di Robert La Tourneaux, l’attore che interpretava il “regalo” di compleanno per Harold. Quando La Tourneaux si ammalò di Aids, Gorman e sua moglie si presero cura di lui fino alla morte.

Gorman è il primo da sinistra, La Tourneaux quello seduto in basso.

A volte penso che se oggi possiamo spararci i selfie mezzi nudi mentre ci lecchiamo le ascelle in mezzo alle piante con Lana del Rey in sottofondo e poi condividiamo tutto sui social senza pudor né verguenza, beh, un pezzo di merito va anche a gente come questa, che accettò stigma e disapprovazione pur di recitare un testo così bello.

Perché Mart Crowley scrisse un testo incredibile, che merita di essere letto, riletto, visto e rivisto. La cognizione è di causa. Due anni fa sono andato *apposta* a New York per vedere lo spettacolo teatrale revival. Fuori faceva caldissimo, era estate. Dentro faceva freddissimo (è New York, lo spreco di risorse, di cibo, di aria) ma non ce ne accorgemmo perché 1) Jim Parsons fu bravissimo nel ruolo del protagonista Michael e 2) Matt Bomer si fece la doccia in scena (ne scrissi qui ai tempi).

E adesso quello scaltrone di Ryan Murphy ha prodotto anche il film-revival, disponibile su Netflix. Non amo Murphy e non amo Netflix, questo film non aggiunge nulla all’originale, di cui è praticamente una pallida cover con una regia modesta e delle scelte persino più conservatrici e melodrammatiche dell’originale. Ma Jim Parsons è sempre eccellente, Zachary Quinto è sempre un gran pezzo di istrione, e Matt Bomer è ancora più nudo.  E soprattutto, allegato al film (da cercare nel catalogo ottuso di Netflix) c’è la cosa migliore di questo remake: il bonus di mezz’ora girato nel 2019 e dedicato a Mart Crowley, al suo talento, alla sua ironia. Mart Crowley è morto nel marzo 2020.

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