Parigi, traumi
Nei primi giorni a Parigi, quando non parli bene francese, una delle cose più intimidenti è andare a comprare il pane. Dimenticate i film di Rohmer in cui le panettiere svolazzano e cantano e sono adorabili. No, le panettiere parigine sono capaci di qualsiasi cattiveria, e quando dico cattiveria intendo proprio una lezione di fonetica tra un croissant e un financier al pistacchio, malgrado la fila che arriva fino all’Arco di Trionfo. Chiedete in giro, avrete molte conferme.
Forse non dovrei confessarlo in pubblico, ma noi che ci ostiniamo a vivere in questa città ogni tanto condividiamo i nostri traumi con, ehm, le baguette. Proprio ieri una mia amica mi ha confessato che una volta uscì piangendo da una boulangerie perché aveva osato chiedere “un baguette”, al maschile, e la panettiera era rimasta scandalizzata (“Forse intende UNE baguette”) nel modo in cui si possono scandalizzare i francesi, ossia partendo con una tirata insopportabile e non richiesta sugli articoli indeterminativi e già che c’era anche sui partitivi (“Ci ho messo un mese a rimettere piede in una boulangerie, ero devastata”).
Potremmo chiamarlo Painsplaining ma la verità è che riguarda parecchi francesi, di ogni ordine e genere, in tutti i campi, ovunque: Frenchsplaining è più corretto. Chiedete in giro, avrete altre conferme. Il mio trauma invece è questo: ogni volta che andavo, la tipa mi chiedeva “Et avec ceci?” (“qualcos’altro?”). L’angoscia fatta domanda, anche perché il mio vocabolario era ancora fermo a soleil, coeur, amour e quindi capivo “Avec SOSI’?”, e mi venivano in mente buffe parole siciliane a caso che mi facevano precipitare in uno stato di confusione totale (“‘u mari, ‘u suli, ‘a sosizza”) finché la panettiera, che ovviamente ci godeva assai, chiudeva la conversazione con un infastidito “BON, un euro e dieci”. Ancora oggi, quando mi chiedono “Et avec ceci?” un brivido mi attraversa la schiena. Ovviamente il fatto che siano passati più di dieci anni è solo un dettaglio.