D’argent et de sang


D’argent et de sang, serie in 12 episodi
Xavier Giannoli
Regia: Xavier Giannoli, Frédéric Planchon
Sceneggiatura: Xavier Giannoli, Jean-Baptiste Delafon, Antoine Lacomblez (dal libro omonimo di Fabrice Arfi)


Disclaimer

“Cette série est une oeuvre de fiction inspirée de faits réels. Sa vocation est artistique et non documentaire, et c’est ainsi que doivent être compris les faits décrits, les personnages dépeints, les propos et opinions exprimées.”

Cento euro

A Natale Macron mi ha regalato cento euro. Non solo a me, a tutti i residenti che pagano le tasse in Francia. Io sono residente in Francia, pago le tasse in Francia e tra i propositi del nuovo anno c’è quello di prendere la nazionalità francese. Devo ancora sciogliere qualche dubbio sul fatto di voler diventare parte di questa gente, ma nell’attesa io i cento euro me li merito tutti.

In realtà diverse categorie devono ancora ricevere i soldi, ma abbiamo le parole giuste, usiamole: si chiama “indemnité inflation” e non c’è bisogno di tradurre. Ora, cento euro non cambiano la vita, ma un paio di scarpe con i saldi di gennaio probabilmente sì. Per capire come sta messa la gente, se digiti su google “100 euros Macron” il primo risultato che appare è QUANDO? La gente ha bisogno di risposte, ma soprattutto di potere d’acquisto.

Tra tre mesi si terranno le elezioni presidenziali: il primo turno il 10 aprile, il secondo il 24 aprile. Per la prima volta dopo moltissimo tempo le parole maggio e francese non potranno stare nella stessa frase. Molto triste. Quanto tempo è tre mesi? Poco? Molto? Più o come meno come cento euro? Non so, ma ecco la situazione: in questo momento in Francia ci sono più candidati che gente disposta ad ammettere che la vita ha ancora un senso. Candidate fasciste, candidati più a destra dei fascisti, candidati mezzi fascisti, donne fasciste, gay fascisti, comunisti fascisti, verdi pallidi, socialiste in via d’estinzione, passanti ubriachi: meno male che non ho ancora la nazionalità perché avrei avuto davvero l’imbarazzo a scegliere in mezzo a gente da cui non mi farei offrire non dico una cena, ma nemmeno cento euro.

Macron ancora non ha sciolto le riserve su una sua candidatura, ma insomma sappiamo già come andrà a finire. Per ora ha l’atteggiamento del preside buono che lascia sfogare i bimbetti e le bimbette nel cortile durante la ricreazione, e al momento giusto alzerà la voce e ordinerà di tornare in classe. Il copione sembra già scritto. D’altronde in Francia sono abitudinari, si affezionano alle cose e ci mettono sempre un po’ a liberarsene: i diritti umani, gli scioperi, la satira, i libri di Houellebecq a gennaio, cose così.

Per cinque anni ho sperato in un’alternativa credibile a questo modello economico e politico, a questa classe dirigente, a questo impoverimento del discorso pubblico. Ma adesso il tempo sta scadendo e i segnali sono pessimi. Come diceva mia nonna, meglio il tinto conosciuto che il buono da conoscere? Non so, so che il mondo si è complicato ulteriormente, tutto quello che poteva andare storto andrà ancora più storto e io nel frattempo mi sono fatto più pragmatico: per esempio l’unica cosa mi interessa in questo momento è capire come spendere questi cento euro.

Certe lusinghe che solo qua

E quindi alle due e mezza di giovedì atterro a Fiumicino, prendo il trenino per Termini, vado a Monti (“Posso metterla nella lista infinita di case? Valgono quattro giorni?”), poso lo zaino e vado di corsa al Quattro Fontane, proprio oggi esce il film di Nanni Nanni Nanni, e ancora con il sapore in bocca del pessimo panino easyjet faccio il biglietto a 8.50 euro (“Come si vede che state ancora nelle grotte”), mi guardo attorno, non riconosco il cinema degli anni dell’università, devono averlo ristrutturato e meno male, non ho tempo e voglia per i lagrimoni, non stavolta, e neppure dopodomani, Nanni Nanni Nanni, ma quella storia di Scamarcio era proprio necessaria necessaria?, la sera scende su Roma e io non provo niente, ma niente proprio, la calamita mi porta a Piazza Farnese (“Dagli amici tuoi”) e a certi luoghi che meriterebbero pellegrinaggi di gruppo (“Sono sotto l’Abacus, scendi?”) e a certe lusinghe che solo qua, ma come è possibile?,

poi mi sveglio, vado al Libraccio, tutto uguale, sempre uguale, e poi a piedi fino al Macro, non c’è nessuno, tutto gratis e tutto per me, e poi il pranzo a Villa Torlonia, cantieri, quanti cantieri, e prendere il sole sull’erba secca secca ancora secca del 2004, e il Chiostro del Bramante, primo aperitivo, andiamo a Campo a farci il secondo, e il terzo?, e perché una bella gricia no?, e la mattina dopo ci sono già mille gradi e io ancora non ho voglia di lagrimoni ma di scarpette da corsa, colle oppio, villa celimontana, lavori in corso, sempre in corso, per sempre in corso, un km moltiplicato per dodici quanto fa?, ci vediamo a San Paolo, la cappa di sole bianco che vale più di mille sceneggiature e mille dialoghi, e i totani e i calamari e il polpo e ancora gli anni dell’università, uno gira pianeti e costellazioni e buchi neri e la cattedra di Abruzzese a Sociologia mi ritroverà sempre, Agrigento Garbatella Devastazione Ovunque,

e a Trastevere ci arrivo dunque saltellando con la spensieratezza demente di chi non si ricorda niente, ma poi che c’è da ricordare?, forse quel bar con lo Sceneggiatore Esperto che doveva essere il nostro mentore e invece voleva solo ubriacarsi e forse scoparti mentre io mi annoiavo guardando altrove, la banda militare intanto si sta apparecchiando per suonare l’Inno Nazionale davanti alla chiesa, i cellulari come gli accendini come ai concerti, Roma sempre bella di sorprese e di divise e di fasci a loro insaputa, ma poi le belle notizie, quelle belle belle belle, le amiche e gli amici che cambiano vita, tre giorni e già ne conto tre, tre che mi dicono Ho dato le dimissioni e io dico Hai fatto bene, pure io le darei se avessi un lavoro, ma ne ho quattro, come si fa, da chi da cosa mi devo dimettere?, e poi il cinema, l’ex Filmstudio che ora è una sala congressi e ogni tanto si ricorda dei film in sala, i plexiglass semoventi (“Fate finta che siete amanti lesbiche e ve lo fanno spostare, qui siamo in territorio liberato”), la bellezza del nostro lavoro finalmente mostrato (“Ma noi mica restiamo, lo sappiamo a memoria ‘sto film, ci vediamo fuori”) e gli abbracci e le facce mezze buie così non si vedono i decenni precipitati sui nostri occhi,

e la giovane donna con il senso del colpo di scena che mi prende il braccio e mi chiede ODDIO MA QUINDI TU SEI TFM? e il silenzio ci coglie così, ventenni con tanto tempo libero e blog da far girare a palla, vero V.?, (“QUESTO SÌ CHE È UN SIGNOR BONUS DVD”) e io le dico Chi te lo doveva dire che da splinder mi ritrovavi alle prese con il sadomaso e i frustini e lei mi molla un principio di lagrimone, il primo, che resta lì, primo e ultimo, sospeso nel gargarozzo, quando dice “Mi ricordo un post su Battisti, SAI io ti commentavo”, e io vorrei piangere, piangere davvero, ma non esce niente, grazie Roma, grazie per avermi dato un cuore di pietra dura e aguzza, “Scusate dobbiamo andare a mangiare le polpette”, oh sì le polpette quante polpette, che belle le mischielle di polpette a Trastevere, a parlare mezzo inglese e mezzo chissà con questo gigante regista di due metri e mezzo (“Ohhh Nicooooh tell me your opinione about science-fiction” “Ohhh Jaaakkke I don’t know, per caso you wanna taste this polpetta con la scamorza?”), e G. che guida come si deve guidare a Roma, cioè come i selvaggi assassini e psicopatici, o forse solo come gli eterni minorenni sul lungotevere che pensano di avere il mondo in mano e tra qualche lustro saranno al posto nostro, toh, tenete questo ricordo, eccolo, e i coinquilini provvisori russi, con l’infante che piange e strepita e urla alle due del mattino e io do pugni sul muro come quando abitavo sulla Cassia (“Ma non avevi detto che tu solo Roma Est?”),

e la seconda colazione della domenica con l’amico ritrovato ci coglie così, siamo non dico reduci ma forse solo gente onesta che si dice le cose anche con dodici anni di distanza, le cose che di solito non si dicono, e poi tante altre, e uno due e tre abbracci davanti al benzinaio dell’Appia (“Certo che Roma è sempre così cinema”), e la seconda proiezione a Trastevere (“Questa è davvero La dernière séance”) (“Quante altre battute sul titolo dobbiamo sorbirci?, così, per regolarci”) insomma è per pochi intimi ma buoni (“Prego accomodatevi, fate come se foste a casa mia”), il dibattito lo facciamo fuori con le mani a visiera sugli occhi, è l’ultima volta, stavolta, che vedo questo sole bianco putrescente, oh Roma che bella che sei Roma, mentre schizzo a piedi sul Ponte Sisto in mezzo ai boati come bombe del derby, che poi che devi fare a Roma, magnà e bève, e allora che sia, una due cento bottiglie di Pecorino dell’Abruzzo, tanto a casa, o quello che è, ci arrivo a piedi, quella volta dissi 1471 km tutto dritto da Pietralata a Place Monge che ci vuole, in effetti sì, che ci vuole, il tempo di brindare con altri derelitti a via Merulana, e poi a Termini, sempre Termini, e Fiumicino, e a mezzanotte atterro a Charles De Gaulle, prendo la Rer B che si blocca a Aulnay-sous-Bois per dieci, venti, mille minuti e un tipo si innervosisce, fa avanti e indietro, dà pugni sul vetro, sputa per terra, e io intanto sbadiglio e penso che questo film l’ho già visto, e per movimentare la cosa il protagonista a questo punto dovrebbe guardare fuori dal finestrino lercio, riconoscersi con aria sorpresa nel riflesso mentre infine un copioso lagrimone gli scende sulla guancia, ma poi il treno riparte, destinazione Denfert-Rochereau: ciao ciao Roma, io torno a casa, quella vera.

Ho visto quarti, semifinale e finale

Ho visto quarti, semifinale e finale degli Europei a Palermo, sempre nello stesso posto, nello stesso punto dello stesso marciapiede della stessa piazzetta, scroccando il maxischermo di uno dei bar della mia giovinezza, abbracciato a uno di quegli ombrelloni enormi, per stare più in alto degli altri, mentre sconosciuti a caso lo bilanciavano dall’altra parte per evitare di ballare troppo: le notti erano eterne, non ancora magiche.

Ho visto quarti, semifinale e finale in una bolgia che man mano bruciava sempre di più, soffrendo quando tutto sembrava perso, sperando quando tutto sembrava fatto. Non ho cantato l’inno, ma ho previsto Bonucci in finale (“Ma non vale, tu lo nomini sempre quello, a prescindere”), mi sono lasciato definitivamente sedurre dall’intelligenza tattica di Mancini (“Cristante? Viva Cristante”), ho sorriso con Mattarella e pensato Minchia che angoscia, sempre angoscia quanta angoscia, mai una cosa bella facile facile nei novanta minuti. Ho resistito resistito e resistito al facile insulto contro gli avversari ma poi, finale oblige, mi sono dimenticato di tutto e ho urlato Suca all’odioso numero tre dell’Inghilterra, Cornuto all’arbitro e Dovete buttare sangue un po’ a casaccio.

Ho visto quarti, semifinale e finale nel ventre di Palermo, l’unico luogo a cui appartengo, mio malgrado: così è. Tre partite, in mezzo a ladri, poeti, nobili, teppisti veri e altri volenterosi che mai lo saranno, e poi amici, conoscenti, sconosciuti. Ho visto fuochi d’artificio prima del tempo, esibizioni di moto truccate in mezzo ai rigori, turisti stranieri sgomenti di gioia altrui, dopo tutto.

Ho visto gente pregare, piangere, coprirsi gli occhi con le mani, come nei film di paura. Ho visto facce bellissime, le stesse che ritrovo negli anfratti più sordidi della città, ho visto un’Ape con una quindicina di persone a bordo e un bimbo di pochi anni lanciato in aria come il trofeo che non avevano mai avuto. E poi, quando tutto era abbastanza, sono tornato indietro a recuperare la macchina, camminando piano, sorridendo, scuotendo incredulo la testa. Il posteggiatore se ne stava da solo, in questa viuzza laterale e silenziosa, fuori dal mondo. Poteva essere qualsiasi momento di qualsiasi tempo, invece lui mi ha chiesto C’è bordello in centro, vero?

Come vi passano tuttecose

Ogni volta che torno a Palermo e provincia temo di ritrovarla infighettita, gentrificata, falsificata, e penso a cose tragiche e definitive tipo Ridatemi Via Maqueda lorda e inavvicinabile ma insomma dove andremo a finire con tutti questi tavolini e questi turisti Orlando sei contento?,

e infatti l’altro giorno nel supermercato di un paesino sperduto dove perse le scarpe Gesù bambino ho trovato nel reparto frigo una confezione di “solo albume per allenamenti proteici” e un brivido mi ha attraversato (“Stanno arrivando”),

ma poi mi basta fare quattro passi in una stradina laterale e sentire l’odore di pranzi fritti e voci buttate, o andare in un mercatino rionale, per tranquillizzarmi meglio di dieci sedute su Calm: ieri un venditore di pianticelle aromatiche ha visto che non ero di qui e mi ha salutato con un piacevolissimo “Ddddottore se le prende tre piante? Una gliela regalo”,

e io ho sorriso e ho pensato Che bello a Parigi nessuno mi chiama Ddddottore con quattro dddd, e poi c’era un altro venditore talmente schiantato dall’afazza arraggiata che stava sdraiato sul sedile posteriore della macchina-magazzino e parlava da due metri di distanza con la signora che chiedeva uno sconto su un pacco di mappine colorate e lui diceva “Signora facesse quello che vuole, io qua non me la fido più”,

insomma tutto questo per dire che quando siete preda di paure e preoccupazioni sul futuro, sulle varianti, sulla Nazionale di calcio che si inginocchia se ti inginocchi tu, sulle polemiche social, su tutto, beh il mio consiglio è: pigliate un aereo, andatevi a fare una camminata a Palermo e vedete come vi passano tuttecose.

Parigi, traumi

Nei primi giorni a Parigi, quando non parli bene francese, una delle cose più intimidenti è andare a comprare il pane. Dimenticate i film di Rohmer in cui le panettiere svolazzano e cantano e sono adorabili. No, le panettiere parigine sono capaci di qualsiasi cattiveria, e quando dico cattiveria intendo proprio una lezione di fonetica tra un croissant e un financier al pistacchio, malgrado la fila che arriva fino all’Arco di Trionfo. Chiedete in giro, avrete molte conferme.

Forse non dovrei confessarlo in pubblico, ma noi che ci ostiniamo a vivere in questa città ogni tanto condividiamo i nostri traumi con, ehm, le baguette. Proprio ieri una mia amica mi ha confessato che una volta uscì piangendo da una boulangerie perché aveva osato chiedere “un baguette”, al maschile, e la panettiera era rimasta scandalizzata (“Forse intende UNE baguette”) nel modo in cui si possono scandalizzare i francesi, ossia partendo con una tirata insopportabile e non richiesta sugli articoli indeterminativi e già che c’era anche sui partitivi (“Ci ho messo un mese a rimettere piede in una boulangerie, ero devastata”).

Potremmo chiamarlo Painsplaining ma la verità è che riguarda parecchi francesi, di ogni ordine e genere, in tutti i campi, ovunque: Frenchsplaining è più corretto. Chiedete in giro, avrete altre conferme. Il mio trauma invece è questo: ogni volta che andavo, la tipa mi chiedeva “Et avec ceci?” (“qualcos’altro?”). L’angoscia fatta domanda, anche perché il mio vocabolario era ancora fermo a soleil, coeur, amour e quindi capivo “Avec SOSI’?”, e mi venivano in mente buffe parole siciliane a caso che mi facevano precipitare in uno stato di confusione totale (“‘u mari, ‘u suli, ‘a sosizza”) finché la panettiera, che ovviamente ci godeva assai, chiudeva la conversazione con un infastidito “BON, un euro e dieci”. Ancora oggi, quando mi chiedono “Et avec ceci?” un brivido mi attraversa la schiena. Ovviamente il fatto che siano passati più di dieci anni è solo un dettaglio.

La Francia di Macron S04

20 Marzo 2021

Da oggi, chi abita a Parigi e in altri pezzi di Francia, per le uscite giornaliere dovrà esibire un’attestazione in cui dichiara che “io sottoscritt* posso stare in giro in un raggio di 10 km, senza limiti di tempo”. Senza. Limiti. Di. Tempo.

Ecco dove siamo precipitati: la Grande Nazione, madre di gente come Cartesio, Molière e Charlotte Gainsbourg, dopo un anno di pandemia riesce a concepire la cosa più CRETINA di sempre: un pezzo di carta (o una schermata) che attesti che, in base alle stesse disposizioni decise dal governo, io posso stare all’aria aperta quanto mi pare (“E allora cosa dobbiamo certificare?”) (“Non so, forse Stocazzo?”) (“Signor Poliziotto, mi dica che si rende conto anche lei che questa cosa NON HA SENSO”).

Ma siccome siamo “sempre la Francia”, qualcuno deve aver tirato la campanella anti-connerie e ora, dopo manco mezza giornata stanno già pensando di eliminarla per cambiare per l’ennesima volta le disposizioni (d’altronde prima non avevano avuto il tempo di rifletterci abbastanza, è arrivato così all’improvviso questo TERZO lockdown). Le Monde dice che si pensa di “semplificare” la procedura. Forse non servirà più l’attestazione, “basterà avere una carta d’identità per uscire”.

La Francia di Macron S04 episodio sfinimento

2 Marzo 2021

E poi ci sono giorni in cui il Paese in cui vivi assomiglia a Paesi in cui hai vissuto (Francia, Italia). Da cui: tutto il mondo è paese? Non so, di sicuro le destre si assomigliano un po’ tutte. Le sinistre, invece, sono infelici ognuna a modo suo.

L’ex presidente della République Sarkozy è stato condannato in primo grado a tre anni per corruzione, di cui uno da scontare in prigione. Ma alla fine lo passerà ai domiciliari con il braccialetto elettronico. Nel 2015 Sarkozy twittava contro le misure alternative per le pene superiori ai sei mesi. Oggi il suo profilo twitter è, come dire, muto.

Il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, ha commentato la notizia con il solito stile dei macroniani. Avrebbe potuto, che ne so, dire “aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso” o, meglio ancora, tacere. Invece Darmanin ha pubblicamente difeso Sarkozy “per le grandi cose che ha fatto per il nostro Paese”. Giusto per ricordarne una: secondo l’accusa, Sarkozy e il suo avvocato avrebbero comprato due schede telefoniche prepagate e intestate a un certo Paul Bismuth per dedicarsi “alle grandi cose per il nostro Paese” (dalle intercettazioni su queste linee si è potuto costruire il castello accusatorio della corruzione a un giudice). Ricordo anche che Darmanin fu nominato a “primo poliziotto di Francia” (così qui viene volgarmente chiamato il ministro degli interni), malgrado delle accuse molto serie di “stupro” e “molestie sessuali”. Nessuna condanna, ma una seria questione di opportunità. Di sicuro c’è gente che è dovuta scappare a Sant’Elena per molto meno.

Ma il sostegno di Darmanin a Sarkozy (e al suo fedele elettorato) non è casuale. Tra un anno si vota per le presidenziali. Alcuni sondaggi danno un testa a testa al 50% tra Macron e Marine Le Pen. Cinque anni fa Le Pen era addirittura favorita. Poi sappiamo come è andata. Ma in giro c’è un diffuso e trasversale sentimento anti-Macron. Altro che dottrina politica oltre la sinistra e la destra. La sua è stata una presidenza di destra e basta: disagio sociale, povertà, violenze della polizia, migranti, uno sciopero generale che ha paralizzato il Paese per un mese e mezzo prima del Covid. Su tutto, una visione politica di continuo disprezzo verso le opposizioni e la popolazione: basterebbe mettere in fila le bugie, le dichiarazioni dementi e gli atti illogici nella gestione della pandemia, specie nella prima fase, per avere un quadro del disastro di questa presidenza.

Ovviamente Macron sente il vento in poppa ed è convinto di battere Le Pen con l’ennesimo ricatto morale delle nostre vite: non vorrete mica far vincere i fascisti? Voilà la fine dottrina politica a cui giusto Renzi può ispirarsi. Negli ultimi giorni Libération ha fatto due prime pagine consecutive sul rischio che il giochetto stavolta potrebbe non funzionare. A sinistra e al centro c’è molta gente che potrebbe astenersi o non votare Macron obtorto collo. Non per far vincere i fascisti, ma per sottrarsi a un pattern malato che va avanti dal tragico Chirac-Le Pen padre del 2002. O anche per far saltare il banco, perché no. I macroniani ne hanno approfittato per accusare la sinistra di voler fare il gioco dei fascisti, ma insomma la République, ma insomma che scandalo, ma insomma i valori, ma insomma vergognatevi. La solita storia. Da una parte si prova a spiegare. Dall’altra, beh dall’altra, ognuno completi la frase a suo piacimento. Alla fine, se le cose restano così, credo comunque che Macron verrà rieletto perché i fascisti no no no. Però un anno è lungo, molto lungo. La storia recente, diciamo dal 2015, ci sta urlando in faccia che tutto quello che può andare storto finirà peggio. Resta da capire cosa è peggio di peggio.

Manuale svelto svelto per chi come me in giorni di pioggia e pandemia

Manuale svelto svelto per chi come me in giorni di pioggia e pandemia deve prendere per motivi di lavoro le metropolitane di città che una volta movimentavano milioni di persone e oggi molte meno ma comunque abbastanza per gettarci nel panico ogni volta che qualcuno dà un colpo di tosse.

Scegliere sempre l’ultimo vagone tutto a sinistra del binario o l’ultimo tutto a destra (ovviamente non sulle linee che si fermano ai piedi delle scale).

Entrare nel vagone e fare subito un giro di OCCHI PAZZI per individuare:
-malati mentali
-gente con mascherine altermondialiste fatte di tessuto, boh, omeopatico
-gente che mangia (mandarini, biscotti, caponatine etc)
-gente che continua a scambiare i vagoni per centri estetici un po’ così e si taglia le unghie perché, ehi vuoi mica dirmi cosa posso e non posso fare?
-gente che ritiene opportuno portare le mascherine lasciando il naso scoperto
-gente che ritiene opportuno abbassare la mascherina per soffiarsi il naso, fare quel che deve fare, e poi rimettersi la mascherina, così, senza gel ma con una faccia tosta che si meriterebbe di essere presa a ceffoni per sempre

Finito il giro di OCCHI PAZZI, se nessuno di questi casi si verifica, mettersi nel punto più lontano da chiunque e pensare alle cose belle tipo, boh, una passeggiata al mare, Jean-Pierre Bacri, Mia Ceran.

Se si verifica un solo caso, iniziare a fare su e giù per il vagone fingendo di cercare qualcuno che in realtà non esiste.

Se si verificano due casi, allarmarsi tantissimo e cambiare vagone alla prima fermata utile e ritornare alla casella di partenza (OCCHI PAZZI etc).

Se si verificano tre o più casi in due o più vagoni consecutivi iniziare a correre fortissimo in qualsiasi direzione finché non spunta un varco spazio-temporale per l’universo parallelo in cui in questo momento siamo tutti tristi e infelici ma per i noiosi motivi di prima.

Bonne nouvelle

Ieri, primo gennaio duemilaventi, abbiamo preso la linea 8. Passando da Bonne Nouvelle abbiamo trovato questa scritta. Nella carrozza eravamo in quattro, e in quattro abbiamo sorriso. Su una metro parigina non succedeva dal ’67 (detto altrimenti: la nostra azienda dei trasporti pubblici è migliore della vostra).