Ho visto quarti, semifinale e finale

Ho visto quarti, semifinale e finale degli Europei a Palermo, sempre nello stesso posto, nello stesso punto dello stesso marciapiede della stessa piazzetta, scroccando il maxischermo di uno dei bar della mia giovinezza, abbracciato a uno di quegli ombrelloni enormi, per stare più in alto degli altri, mentre sconosciuti a caso lo bilanciavano dall’altra parte per evitare di ballare troppo: le notti erano eterne, non ancora magiche.

Ho visto quarti, semifinale e finale in una bolgia che man mano bruciava sempre di più, soffrendo quando tutto sembrava perso, sperando quando tutto sembrava fatto. Non ho cantato l’inno, ma ho previsto Bonucci in finale (“Ma non vale, tu lo nomini sempre quello, a prescindere”), mi sono lasciato definitivamente sedurre dall’intelligenza tattica di Mancini (“Cristante? Viva Cristante”), ho sorriso con Mattarella e pensato Minchia che angoscia, sempre angoscia quanta angoscia, mai una cosa bella facile facile nei novanta minuti. Ho resistito resistito e resistito al facile insulto contro gli avversari ma poi, finale oblige, mi sono dimenticato di tutto e ho urlato Suca all’odioso numero tre dell’Inghilterra, Cornuto all’arbitro e Dovete buttare sangue un po’ a casaccio.

Ho visto quarti, semifinale e finale nel ventre di Palermo, l’unico luogo a cui appartengo, mio malgrado: così è. Tre partite, in mezzo a ladri, poeti, nobili, teppisti veri e altri volenterosi che mai lo saranno, e poi amici, conoscenti, sconosciuti. Ho visto fuochi d’artificio prima del tempo, esibizioni di moto truccate in mezzo ai rigori, turisti stranieri sgomenti di gioia altrui, dopo tutto.

Ho visto gente pregare, piangere, coprirsi gli occhi con le mani, come nei film di paura. Ho visto facce bellissime, le stesse che ritrovo negli anfratti più sordidi della città, ho visto un’Ape con una quindicina di persone a bordo e un bimbo di pochi anni lanciato in aria come il trofeo che non avevano mai avuto. E poi, quando tutto era abbastanza, sono tornato indietro a recuperare la macchina, camminando piano, sorridendo, scuotendo incredulo la testa. Il posteggiatore se ne stava da solo, in questa viuzza laterale e silenziosa, fuori dal mondo. Poteva essere qualsiasi momento di qualsiasi tempo, invece lui mi ha chiesto C’è bordello in centro, vero?

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